Come mai si attraversa la fase dei “perché”?

 

Hai presente quella fascia di età in cui quasi tutti i bambini chiedono continuamente “perché”?

 

Tutto nasce dalla curiosità e dal confronto con nuovi stimoli esterni. A volte, però, sembra che questo interrogarsi su ogni nuova scoperta, non sia altro che un modo per attirare l’attenzione. Spesso, ciò che diverte il bambino è la situazione di dialogo che si instaura con gli adulti. L’interazione è il vero scopo della domanda. Distinguere la ricerca di attenzioni dal reale interesse è piuttosto facile. In base all’età, infatti, sarà possibile intuire se alla base dei “perché” ci sia una reale curiosità a conoscere la risposta o il semplice richiamo all’interazione. Più i bambini crescono e più le loro domande saranno frutto di un interesse reale, questo significa che non si accontenteranno di risposte superficiali e ripetitive ma esigeranno una vera e propria spiegazione. La fase dei “perché” è come quella relativa al “gattonare” non è un passaggio obbligato o indice di uno sviluppo più o meno normale dei bambini, ma può essere molto importante.

 

La comparsa di questa fase dipende dallo sviluppo del linguaggio e, di conseguenza, non è uguale per tutti. In linea generale potremmo dire che la fase dei “perché” si manifesta tra i due e i tre anni e può proseguire anche fino ai sette-otto anni. Una cosa fondamentale, però, è anche il carattere. Infatti, il bambino che si interroga sulla realtà che lo circonda, oltre ad aver raggiunto un certo livello di competenze linguistiche, deve anche essere incline all’interazione spontanea con gli adulti. Un bimbo timido e riservato, probabilmente, avrà più difficoltà ad instaurare questo rapporto di scambio e confronto. Questo non sarebbe indice di un problema, ma semplicemente un parametro per giustificare l’assenza dei “perchè”. Volendo dividere la fase in due momenti, potremmo dire che il primo inizia a due-tre anni e si protrae fino ai cinque-sei, mentre, dai sei anni in poi, con l’inizio della scuola, l’interlocutore oggetto dei quesiti potrebbe essere sostituito con la maestra o con altri soggetti poco più grandi di età, quindi quasi alla pari. Quindi, come comportarsi: ai bambini più piccoli è meglio dare delle risposte semplici e divertenti, in quanto la loro mente apprende ancora i concetti categorizzandoli in un mondo di fantasia; ai bambini dai sei anni in poi, invece, sarà possibile improntare le risposte con argomenti che richiamino la logica e la razionalità. Quando si attraversa la fase dei “perché”, i bambini più socievoli rivolgono le loro domande a tutti gli adulti che incontrano, non solo ai genitori. Quindi, sebbene sia necessario assecondare l’inclinazione dei bambini nell’essere curiosi e socievoli, non sarebbe strano porre anche dei limiti. Il fatto di richiedere una continua attenzione anche agli estranei, può essere l’occasione per insegnare al bambino le buone prassi dell’educazione facendo notare come possa essere scortese interrompere qualcuno mentre parla o mentre lavora. Spesso tutte le domande dei bambini mettono a dura prova la nostra pazienza, ma ci sono alcuni trucchi per interrompere la “catena dei perché”. Possiamo distrarre il bambino spostando la sua attenzione su qualcos’altro, farlo riflettere sulla situazione oppure sospendere semplicemente la conversazione per fare altro, promettendo che si riprenderà il discorso. Anche rispondere con un “Secondo te perché?” può essere utile per creare un momento di pausa, stimolo e riflessione. Le regole sono semplici: cercare sempre di dare una risposta sensata, sfruttare le domande come spunto per cercare insieme le risposte, non inventare completamente le risposte ma incentivare sempre la ricerca, anche se in modalità gioco. In definitiva, questa fase passeggera è importante per lo sviluppo cognitivo e può essere incentivata regalando libri o organizzando gite in luoghi in cui sarà possibile trovare una risposta concreta ai dubbi manifestati dal bambino.